TITLE: SIDERA
Per me è sempre stato difficile immaginare una parola più affascinante e bella di desiderio, un fascino che giunge dallo studio della sua etimologia.
Questo termine deriva dal latino e risulta composto dalla preposizione de- che in latino ha sempre un'accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella.
Quindi, desiderare significa, letteralmente, "mancanza di stelle", nel senso di "avvertire la mancanza delle stelle", di quei buoni presagi, dei buoni auspici.
Per estensione, nei giorni nostri, il verbo desiderare è inteso come percezione di una mancanza, quindi come sentimento di una ricerca appassionata.
Desiderare può anche indicare uno stato di sofferenza per la mancata presenza di qualcosa che si vorrebbe ci fosse. Poi, per i navigatori nell’antichità, immaginiamo quale stato di apprensione potessero creare gli spostamenti in mare aperto durante le notti nuvolose senza stelle; ecco quindi che la mancanza di stelle (de-sidus) fa si che l'uomo le desideri.
"Esprimi un desiderio!" lo si fa rivolgendo lo sguardo alle stelle, secondo la leggenda popolare.
Il de-siderio è una speranza di manifestazione, da un briciolo, di una stella.
Se il desiderio di qualcosa o di qualcuno proviene da tanto lontano, come dagli spazi siderali, deve sicuramente avere in sé una forza straordinaria nella sfera delle emozioni dell'animo umano.
Photographer: Carlo Traini
Curator and editing: Loredana De Pace
AUTHOR: Carlo Traini (Italy)
About Carlo Traini (biography)
Born in 1964, I was first attracted by the Arts during military service; an attraction later developed into a curious fascination for painting and photography only after 1985.
Though that first creative impulse revealed itself to be shortlived - just a few years later, in 1997, I would stop taking photos altogether with my old camera, I still managed to bring forward and mature a personal journey and research through very few B/W rolls, some polaroids and my meeting with an iconic photographer of the 20th century.
I have no intention of merely illustrate what's out there; I instead always try to write sudden, abrupt stories with my photos and my smartphone allows me to do just that.
I call them "photoequivalences" since my pictures spawn just from what little free will you're still able to have left and the dichotomy between my inner chaos and myself - all of this without forgetting my everlasting metaphysical research.
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